Sin
da quando possa ricordare, ho sempre ritenuto una grandissima
sfortuna essere donna. Crescendo in una famiglia matriarcale, dove
la grande nonna supervisionava tutto e tutti, e con una mamma dal
carattere possente, ogni giorno della mia infanzia non ho sentito
altro che commenti sulle mille responsabilità di una donna, sugli
oneri che il corpo femminile ci impone, sul ruolo da dover assumere
nella società, sul peso che questa caratteristica avesse su tutto
ciò che si fa, da quello che mangiamo, a come ci vestiamo, a come ci
comportiamo… crescere in una società prevalentemente maschilista,
di sicuro non ha migliorato gran che la mia visione. Giunta
all’adolescenza, le prime relazioni extra-familiari con l’altro
sesso, non hanno fatto che alimentare tutti i timori tramandatimi e
crearne di nuovi.
Sono
convinta che se non fosse stato per la svolta di eventi all’inizio
della mia età adulta a quest’ora apparterrei a qualche gruppo di
donne insoddisfatte che danno la colpa di ogni loro sventura
all’essere donna.
Pur
essendo andata in chiesa quasi ogni domenica fino ai miei 15 anni,
non credo di essere mai stata presentata a Gesù Cristo, finché il
destino non ha voluto che trascorressi un anno (o meglio sei) in una
famiglia dove Cristo la faceva da padrone. Anche questa famiglia era
portata avanti da una nonna fantastica, zie e cugine “all’italiana”
e una mamma spettacolarmente forte, ma a differenza della mia, in
questa famiglia essere donna era considerato un dono, qualcosa di cui
essere grato e di cui rendere grazie al Signore quotidianamente. La
“capofamiglia”, madre di due, e incinta di altri due, non faceva
che ripetermi quanto fosse felice del dono che il Signore le aveva
fatto. Non scorderò mai la volta in cui mi disse che la vita era un
miracolo, e che come unici esseri in grado di creare la vita, noi
donne eravamo degli angeli speciali scelti da Dio Padre, per rendere
testimoni gli uomini di miracoli quotidiani. Penso che non scorderò
mai neanche il modo in cui mi misi a ridere, dandole della pazza. La
sua risposta fu semplice: aspetta e vedrai.
Gli
anni trascorsi in compagnia di questa famiglia, mi hanno fatto
avvicinare molto a Cristo, e a iniziare a dubitare delle convinzioni
che mi ero portata dietro dall’infanzia. Sicuramente non posso dire
che ero grata di essere donna, ma per lo meno non lo detestavo quanto
nel passato, se non in quei giorni in cui essere donna può essere
alquanto doloroso. Continuavo però a non comprendere il fascino che
così tante persone provavano per il Cristianesimo; come si poteva
parlare di amore ed uguaglianza tra uomini e donne in una religione
portata avanti per millenni da soli uomini, e uomini che odiavano le
donne tra l’altro? C’era però qualcosa di strano che succedeva
quando venivo trascinata a incontri in chiesa, a seminari religiosi o
all’ennesimo “bible study”. Non so definire bene cosa fosse, ma
era come se dentro di me ci fosse una piccola bambina che sorrideva
quando mi trovavo in mezzo a tutte quelle donne che erano entusiaste
della loro condizione.
Dopo
un po’ di tempo, ho conosciuto la Chiesa di Gesù Cristo dei Santi
degli Ultimi Giorni, e dopo un battesimo lampo (ero battezzata 10
giorni dopo il mio primo incontro con i missionari), ho iniziato ad
appassionarmi davvero alla vita di quest’uomo che predicava l’amore
verso tutti, inclusi sé stessi, e il perdono, partendo dal perdonare
i propri errori. Ero in un periodo molto tumultuoso della mia vita,
e sapevo (oggi posso dire che si trattava di suggerimenti dello
Spirito Santo), che le chiavi della mia felicità sarebbero state
proprio quelle: amore e perdono, verso tutti certo, ma partendo da me
stessa. Ho iniziato così un lungo percorso di ricerca e di studio,
che mi hanno portato ad apprezzare sempre di più il la mia
condizione terrena, a riconoscere passo passo tutti i doni che mi
erano stati dati, primo tra quali quello di essere donna.
Non
appena iniziato a comprendere la bellezza dell’essere donna, ho
scoperto di essere in cinta, e tra i mille timori di questa nuova
fase della mia vita, ho iniziato a domandarmi quali nuove prove mi
attendevano, quali nuove lezioni dovevo imparare. Dopo aver dato alla
luce il mio primogenito, ho sentito una gioia che sovrastava di molto
tutto il dolore che mi aveva portato a quel magico momento in cui ho
finalmente potuto tenere tra le braccia il mio bimbo. Iniziavo a
comprendere cosa intendesse la mia seconda mamma affermando che
siamo degli esseri speciali. Ho intrapreso questo nuovo percorso con
mille paure, chiedendomi costantemente cosa fare per poter essere una
buona mamma, cercando di fare del mio meglio per potergli garantire
un buon futuro, avendo mille premure e commettendo mille errori,
ispirandomi agli esempi che avevo avuto dalle donne della mia vita su
come essere una buona mamma.
Poi
a Gennaio ho scoperto di essere di nuovo incinta, e sin dal primo
momento avevo terrore che potesse trattarsi di una femmina. Durante
tutta la gravidanza non ho mai voluto avere la conferma ai miei
dubbi, ma dentro di me ho sempre saputo che era una piccola donna a
crescere dentro di me. Cercando di essere razionale, attribuivo il
mio timore alla mia incapacità di fare le trecce o a mettere lo
smalto sulle unghie. I maschi alla fine sono molto più semplici da
crescere no? Più si avvicinava la data del parto, più sudavo freddo
all’idea di tirare su una bambina, una donna. La presunta data del
parto venne e passò senza che nulla cambiasse, nessuna contrazione,
nulla di nulla. I giorni passavano, e nulla! Una sera poi,
approfittando di essere sola a casa, mi sono chinata in preghiera, e
ho chiesto al Signore perché ci volesse tanto perché questo bebè
si decidesse a venire alla luce, e la risposta è stata una sola:
prima dovevo capire. Ok. Ma capire cosa?
Prendendo
sonno, continuavo a chiedermi quale lacuna mi stava evitando di
entrare in travaglio… sapevo di non avere una comprensione di
completa di molte cose, ma cosa era così grave impormi questa
attesa?
Mentre
cedevo alle braccia di Morfeo, un pensiero ha iniziato a farsi strada
nella mia testa… dovevo ancora capire cosa volesse dire essere
donna. Quello che mi terrorizzava così tanto all’idea di avere
una bambina, era il timore di non poterle insegnare le cose giuste,
ma non si trattava di insegnarle come fare le trecce o come mettere
lo smalto, ma bensì di cosa volesse dire essere donna. Di cosa
volesse dire avere una maggiore sensibilità per i bisogni di coloro
che ci circondano, guadagnare una testimonianza di Cristo, e
applicare e vivere i Suoi insegnamenti nonostante tutte le
prospettive errate date al suo vangelo di secoli di religiosità
maschile, essere umili abbastanza da riuscire ad ascoltare i
suggerimenti dello Spirito, e forti abbastanza da poter sopravvivere
in un mondo prevalentemente maschilista, avere rispetto per il
Sacerdozio, per il padre di famiglia, per gli anziani, per le
opinioni altrui, nonostante il mondo ci insegni l’opposto. Essere
FIERA di essere donna nonostante il mondo ci insegni che sia una cosa
di cui vergognarsi.
A
mezzanotte, quella stessa notte, le contrazioni sono iniziate, e
poche ore dopo stavo tenendo tra le mie braccia la mia piccola Laila
Esmeralda. Ricordo che appena uscita, ho chiesto cosa fosse, più per
prassi: non ero affatto stupita nel sentirmi rispondere che era una
femmina. Non ho potuto resistere a commuovermi nell’aver
finalmente compreso quel commento di tanti anni prima. Finalmente
capivo a pieno perché noi donne possiamo essere considerate degli
“angeli speciali scelti da Dio Padre, per rendere testimoni gli
uomini di miracoli quotidiani”. In quel momento ero fautrice e
testimone di un miracolo allo stesso tempo. Ero stata difatti il
mezzo per permettere ad un nuovo spirito di ottenere un corpo, ma
d'altronde questo miracolo l’avevo già vissuto. Il vero miracolo
per me, in quel momento, fu essere orgogliosa di aver messo alla luce
un piccolo angelo, di essere stata concessa la possibilità di
tramandare ad una nuova donna tutti gli insegnamenti che donne
spettacolari mi avevano trasmesso nel corso degli anni, di vedere, in
un solo istante, tutta la mia posterità negli occhi di questa
piccola grande donna.
Mi
sono spesso chiesta quando è che abbiamo iniziato ad essere donne,
se in questa vita, o se lo eravamo già come spiriti. Non ho ancora
una risposta a questa domanda, ma sono certa di una cosa: Sono grata
al Padre Celeste per l’opportunità che mi ha dato di essere donna,
per il grande dono che mi ha concesso quando mi ha considerata degna
di rendere gli uomini testimoni di miracoli, e di mettere alla luce
una donna! Sono grata di essere una donna!